Crisi alimentare su scala globale, lo afferma un’analisi del Boston Consulting Group

24 maggio 2022 Crisi alimentare su scala globale, lo afferma un’analisi del Boston Consulting Group

Il nuovo report del Boston Consulting Group, “The War in Ukraine and the Rush to Feed the World”, mette in luce il problema di una quasi certa crisi alimentare dalle dimensioni globali, e lo fa partendo e analizzando le conseguenze che l’invasione russa in Ucraina avrà sulla tutta la filiera alimentare.

Il Bcg prospetta una soluzione che coinvolge svariati attori, dalle istituzioni internazionali ai singoli stati, dal mondo finanziario al settore privato, passando per il ruolo chiave delle ong e di tutto il settore sociale.

Il rincaro di alcuni prodotti sul breve termine, le carenze su larga scala delle materie prime e lo choc dei prezzi sul lungo termine, sono tre elementi che portano a definire una situazione, alquanto prossima, di crisi nel mondo del cibo, su scala mondiale.
La causa, dichiara il Bcg, non sarà la scarsa produzione del cibo, ma l’incapacità di distribuirlo e stoccarlo in modo equo ed efficiente. “L’emergenza in corso richiede un’azione rapida e sinergica, senza la quale si rischia una crisi alimentare che andrà a colpire soprattutto le economie in via di sviluppo, messe già a dura prova dalla pandemia da Covid-19”, afferma Lamberto Biscarini, Managing Director e Senior Partner di Bcg.

È necessario agire in maniera rapida, con azioni coordinate, a partire dalla condivisione dei dati che, come quelli condivisi dalla Banca Mondiale, parlano forte e chiaro: il prezzo del cibo a livello globale nel 2022 salirà del 23%, dopo essere già aumentato del 31% nel 2021. Anche l’indice dei prezzi negli Stati Uniti, spesso considerato un indicatore dell’inflazione dei prezzi dei prodotti alimentari, sta aumentando, con un salto dell’8,5% nello scorso marzo, il più alto aumento su base annua dal 1981.
Di grande impatto su questa stima vi è anche l’aumento del prezzo dei carburanti e l’indebitamento sempre maggiore di molti Paesi. Un insieme di cause a cui si è aggiunta la guerra tra Russia e Ucraina che oltre ad essere importantissimi fornitori di grano, sono esportatori del 28% della farina e del 69% dell’olio di semi di girasole a livello mondiale, e tra i maggiori produttori di potassa (ingrediente fondamentale per i fertilizzanti).

Deve esserci quindi un’azione comune di base e il primo passo spetta sicuramente ai governi dei Paesi maggiormente sviluppati, che hanno il compito di finanziare il World Food Program e le ong che sono impegnate nell’assistenza umanitaria in Ucraina e nelle altre regioni più colpite dall’impatto della guerra.
Poi, i Paesi esportatori netti di grano sono chiamati a strutturare una strategia unitaria per liberare scorte e inviarle laddove necessarie.
Atro aspetto fondamentale è quello di varare delle misure finanziarie che permettano di ricostruire il settore agricolo ucraino una volta che la guerra sarà finita, senza tuttavia dimenticare i Paesi nell’Africa Subsahariana, nell’Asia meridionale e nell’America centrale che avranno bisogno di sementi e fertilizzanti per recuperare le interruzioni della semina a causa della guerra.
Sono proprio questi paesi che dovranno ripristinare e rivedere il proprio sistema agricolo cercando di migliorare la catena di approvvigionamento interna: i produttori andranno incentivati ad aumentare i loro raccolti, diversificando il prodotto il più possibile. Questo obiettivo sarà raggiungibile migliorando l’accesso al credito, sfruttando ad esempio i programmi varati ad hoc, come quello per la sicurezza alimentare del G20.

Ampio spazio nel report del Boston Consulting Group viene dedicato alle azioni del settore privato e del multilaterale.
Per quanto riguarda il settore privato emerge che esso debba continuare a sostenere la controparte ucraina e creare piani di condivisione di produzione, stoccaggio e catena di approvvigionamento. Risulta fondamentale la messa in comune di tecnologie, modelli di business e know-how, per favorire una produzione che punti alla coltivazione di cereali innovativi e nutrienti, primi fra tutti miglio, sorgo e amaranto.
Dall’altro lato, l’impegno del multilaterale, appare molto complesso: il BCG consiglia all’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) di “esentare il World Food Program e le organizzazioni simili dalle restrizioni sulle esportazioni, favorendo l’adozione di misure che semplifichino l’acquisto di cibo in altri programmi di assistenza alimentare. Importante, ancora, la ristrutturazione del debito o la creazione di swap di debito che avrebbero come risultato quello di rafforzare la resilienza dei piccoli proprietari e la creazione di meccanismi finanziari innovativi, volti ad aumentare la capacità economica nei Paesi più esposti”.

Per ultimo, troviamo il mondo delle ong e del sociale, che deve farsi carico di un’ampia azione: ovvero non solo fornire aiuti umanitari, ma anche collaborare con i Paesi esportatori netti, favorendo un approccio coordinato per aumentare l’accesso ai fertilizzanti e ad altri input agricoli, puntando a migliorare l’efficienza sostenibile dell’uso dei fertilizzanti.

In conclusione, il BCG afferma, all’interno del suo report, che tutte queste azioni e i vari attori citati in precedenza, è fondamentale che assumano la stessa importanza e che siano soprattutto condotte in parallelo, poiché diversamente, perderanno della loro efficacia.

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